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Incontro con Emilio Drudi, il valore dello stare insieme.

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Ieri, presso la sede del movimento, abbiamo incontrato Emilio Drudi, giornalista e scrittore, tra i fondatori del Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos del Mediterraneo, autore insieme a Marco Omizzolo di “Ciò che mi spezza il cuore”, un saggio sull’Eritrea edito da Ediesse (2015), un nuovo saggio in via di pubblicazione. L’occasione: il prezioso evento organizzato da LBC Giovani,  dal titolo “Fuga per la vita – la tragedia dei profughi del mediterraneo”.

     È stato un momento pregno di informazione, uno sguardo aperto su una visione troppo spesso offuscata da luoghi comuni o peggio strumentalizzazioni, complice una informazione poco chiara, troppe volte manchevole e soprattutto viziata da una frammentarietà di notizie che non vengono mai poste in relazione l’una con l’altra. Risolvere queste gravi lacune nella conoscenza sul tema dell’immigrazione è un dovere civico e morale, ma se ne fanno carico in pochi e levano la propria voce per ristabilire la verità, spesso soffocata purtroppo dai mezzi massicci della cattiva informazione. Molto si può fare parlando di questo argomento nelle scuole, ed in questo Emilio Drudi ha già dimostrato piena disponibilità.

Chi sono i profughi? Persone in fuga per la vita, così le ha definite Emilio Drudi, persone che fuggono dai propri Paesi perché nei propri Paesi non possono più vivere. Il giornalista scrittore ci ha raccontato di uomini che scappano da persecuzioni politiche, religiose, etniche, dalle guerre, dal terrorismo, da una serie di situazioni di crisi enormi che non consentono di vivere nel loro Paese. Di donne in fuga che assumono massicce quantità di anticoncezionali perché mettono in conto la violenza dello stupro, ciò nonostante fuggono da una realtà ben peggiore, questo deve farci riflettere. L’ultimo censimento dell’ONU che risale a giugno del 2016 li calcolava in 65 milioni e mezzo. Non è mai successo nella storia dell’umanità che ci fossero tanti profughi insieme, 65 milioni e mezzo sono più della popolazione della Francia. In questo momento nel mondo ci sono almeno 35 conflitti aperti e la metà di questi conflitti spingono i profughi verso il bacino del mediterraneo, quelli che provano a venire verso l’Europa sono una nettissima minoranza, appena il 6 / 7 per cento, la maggior parte, quindi almeno il 93 per cento, resta nei Paesi vicini al proprio perché qui non ci vuole venire. Ha ragione Papa Francesco quando dice che 35 conflitti aperti sono almeno una guerra mondiale, una guerra fatta a tappe, ma di proporzioni mondiali.

“Il 2 febbraio, con la firma congiunta del premier Gentiloni e del presidente del Governo di Alleanza di Tripoli  – ci ha spiegato Emilio Drudi –  è entrato in vigore a tutti gli effetti il piano sull’immigrazione concordato tra Italia e Libia dal ministro Minniti all’inizio di gennaio. Lo hanno chiamato memorandum sui migranti. Gentiloni lo ha presentato come “una svolta nella lotta al traffico degli esseri umani”, sollecitando il sostegno politico e finanziario dell’Unione Europea. In realtà messe su da Roma e da Bruxelles, negli ultimi dieci anni, per esternalizzare le frontiere europee, affidandone la sorveglianza a Stati “terzi” come, appunto, la Libia. Sorveglianza remunerata con milioni di euro, ben inteso: milioni per affidare ad altri il lavoro sporco di bloccare i profughi, non importa come, prima che raggiungano il Mediterraneo, a prescindere dal fatto che il loro paese d’origine sia sconvolto da guerre, miseria, carestie (in Africa è in corso una carestia devastante di cui nessuno parla) dittature e terrorismo, con l’aggravante per giunta che in questi Paesi che noi finanziamo ci sono le peggiori dittature del mondo, come il dittatore del Sudan che è inseguito da un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità al quale vengono imputati almeno 300mila morti nel Darfur, come il dittatore dell’Eritrea che ha fatto dell’Eritrea uno stato prigione, che spara a vista a chiunque voglia uscire dal paese.” E ancora “Così il cerchio si chiude: in Africa è sempre più difficile passare; il Mediterraneo è sempre più blindato e militarizzato; dall’Europa aumentano le espulsioni, anche di massa. Ovvero: la Ue, inclusa l’Italia, continua ad alzare “muri”, con l’aiuto di alcune delle più feroci dittature. Muri che, oltre tutto, costano cari. “L’Unione Europea – ha fatto notare Celeste Grosso, partendo dai provvedimenti decisi dal Viminale per Como – nel 2015 ha speso il 70 per cento delle risorse destinate agli immigrati per i respingimenti e soltanto il 30 per cento all’accoglienza. Invertendo le proporzioni si avrebbe una situazione dignitosa per i migranti e più sostenibile per tutti, oltre che una notevole riduzione delle spese” E allora una via legale all’immigrazione è la questione di cui l’Europa dovrebbe farsi carico, prendere atto che questo problema nasce da una crisi, il sistema comincia  a sgretolarsi e non si può reggere sulla violenza e sulle guerre, tanto meno sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, organizzazioni criminali lucrano sulla disperazione, se non hai i soldi per pagare ti sparano, ed Emilio Drudi ci ha raccontato la testimonianza di un ragazzo che ha visto morire il suo compagno, perché non aveva soldi per pagare il suo aguzzino, un colpo di pistola alla testa.

“Le organizzazioni che lavorano sul campo da anni si pongono il problema della vita, del futuro, dei diritti dei migranti. Il Governo italiano e l’Unione Europea ne fanno solo una questione di blocco dell’immigrazione, a qualsiasi costo. Anche con respingimenti di massa mascherati da “lotta ai trafficanti”. Poco importa se in contrasto con il diritto internazionale che impone di accogliere ed esaminare caso per caso, individualmente, le richieste di asilo. Poco importa, anzi, se tutto questo moltiplicherà soprusi, sofferenze, morti. L’importante è che tutto avvenga lontano, magari al di là del Sahara, dove non ci sono testimoni scomodi”.

Difficile sintetizzare i molteplici aspetti di un problema complesso, in un incontro durato circa due ore, l’argomento merita ulteriori approfondimenti e un dialogo aperto, soprattutto in relazione agli sviluppi futuri, ma chiaro  è che la pericolosità di questa deriva ci coinvolge come esseri umani, ci toglie, come ha detto Drudi, il senso e il valore dello stare insieme.

Ufficio Stampa LBC