Quella dell’accesso agli atti è una questione complicata e tra le più spinose che una pubblica amministrazione si trova ad affrontare, perché deve contemperare diritti spesso contrapposti. Sul caso sollevato prima in commissione Trasparenza dall’opposizione, che ha accusato la maggioranza di voler mettere il bavaglio a chi cerca di espletare il proprio mandato di controllo, e poi anche nell’ultimo consiglio comunale in fase di approvazione del nuovo regolamento, interviene la consigliera di Latina Bene Comune Marina Aramini, presidente della commissione Affari Istituzionali. È stato proprio in quella sede, infatti, che il regolamento è stato analizzato e approvato in tutti i singoli punti, tanto da non registrare il voto contrario della minoranza.
Voglio spiegare alcuni passaggi fondamentali che hanno portato all’approvazione di questo regolamento: il mio intento è evitare che che si diffondano informazioni fuorvianti su un tema che per questa amministrazione è basilare.
La premessa è che i consiglieri comunali hanno un diritto accesso “potenziato” dall’articolo 43 del d.lgs. n. 267/2000, su “tutte le notizie e le informazioni in possesso dell’ente, utili all’espletamento del proprio mandato”.
A Latina abbiamo approvato il “famigerato” regolamento per l’accesso dei consiglieri dopo averlo ampiamente analizzato, discusso e devo dire snellito nelle svariate riunioni della Commissione Affari Istituzionali da me presieduta. È composto da 14 articoli che ad una prima versione erano apparsi ridondanti, ma che poi con la collaborativa discussione supportata anche da dirigente e funzionari, si è dimostrato il frutto di una condivisa interpretazione, punto per punto, con modifiche spesso votate nel corso delle sedute. Certamente l’articolo “incriminato” è stato il numero 6, che elencava le fattispecie in cui si pongono dinieghi, differimenti e non accoglibilità. Spieghiamo nello specifico in cosa consistono questi tre limiti.
I dinieghi riguardano procedimenti penali, atti giudiziari, interesse personale del consigliere (che quindi rappresenta una richiesta non legata al mandato), procedure di gara secondo l’articolo 53 del codice degli appalti. Tra i casi di diniego sono stati aggiunti, con un emendamento presentato di maggioranza, un punto ripreso interamente dal regolamento dell’Avvocatura Comunale (esistente dal 2011) inerente i documenti connessi a procedimenti penali, scritti difensivi, pareri legali e relativa corrispondenza tra professionisti; e un altro punto relativo alle relazioni e memorie inerenti l’ufficio antimafia (che potrebbero ledere la sicurezza sia delle persone interessate sia del segreto istruttorio).
I differimenti: devono essere comunque motivati, per ricerca di atti che interessano tempi lontani, atti numerosi e di dimensioni consistenti (progetti, elaborati grafici).
La non accoglibilità delle richieste c’è invece quando esse siano troppo generiche e non rendano quindi gli atti identificabili, o in caso riguardino intere categorie di atti (ad esempio, quando si chiede “tutti gli atti afferenti a…”).
Anche il consigliere, nonostante l’ampiezza del suo diritto, è soggetto al rispetto di leggi e regolamenti che, nel caso di quello che abbiamo approvato, contempera il diritto di accesso con altri valori anche di rilevanza costituzionale come il buon andamento e l’imparzialità dell’attività amministrativa (art. 97 Cost.), che si snoda nell’esigenza di non intralciare lo svolgimento dell’attività amministrativa ed il regolare funzionamento degli uffici comunali, comportando ad essi il minor aggravio possibile, sia dal punto di vista organizzativo che economico (Corte dei Conti, sez. Liguria n. 1/2004); oltre a tutelare la riservatezza e la libera concorrenza negli appalti e nei concorsi; tutelare l’incolumità della persona e la sicurezza, intesa anche come tutela del segreto istruttorio nell’ambito dei procedimenti giudiziali.
Ecco perché rimando tutte le accuse di finta trasparenza e bavaglio, al mittente.