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“Povertà sociale, disagio giovanile e l’ammiccante opposizione del benaltrismo”. Commento di Emanuele Di Russo

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Emanuele Di Russo

Mi sono preso qualche giorno per osservare con un po’ di distacco emotivo e un atteggiamento più razionale quanto successo nello scorso consiglio, che devo dire ho trovato veramente scarso nel confronto e nella dialettica politica, molto poco performante dopo un’eccellente introduzione degli ospiti che hanno ben focalizzato il punto di discussione poi lasciato scivolare nella banalizzazione polemica e nel “buonismo” da chi continua orgogliosamente a definirsi opposizione e non minoranza nel governo della città.

Venerdì 19 marzo è stata la festa di San Giuseppe, genitore di una famiglia migrante, perseguitata, abbandonata a se stessa. Genitore di una strana famiglia, molto diversa da quella del legame di sangue o da quella che qualcuno vuole stigmatizzare come naturale. Genitore che si è preso cura di un figlio che non era naturalmente il suo e il quale si è preso cura della sua comunità e del mondo intero. Esempio questi che per noi dovrebbero essere, almeno culturalmente, punti di riferimento e che hanno un filo comune: il donarsi all’altro. E invece oggi viviamo una fase di sterili relazioni e di scarsa fiducia, una cultura dominante del qui e ora e del mordi e fuggi.
La sfida che oggi abbiamo di fronte è quindi della responsabilità sociale, condivisa e diffusa della cura e dell’educazione, del recupero di quella dimensione di fiducia reciproca e di relazioni edificanti.

Gli ospiti che hanno introdotto questo consiglio comunale ci hanno sollecitato a porci le giuste domande. Una di queste dovrebbe essere se il rinsaldare questi legami debba passare per un avvicinamento della politica ai giovani o dei giovani alla politica.

Inizierò dalla palpabile assenza di presa di posizione di FdI che invece ha trovato più impellente cogliere l’occasione della festa del papà per andare a sostenere la battaglia per il primato della “famiglia naturale”. D’altronde nell’affollato mercato elettorale del “prima gli…” è importante prendere posizione sulle etichette di genitore 1 o 2 “prima che” non sia fin troppo chiaro che non si sta parlando di una classifica o “prima di” dover affrontare temi scivolosi, troppo articolati o di scarso appeal come quelli della cultura clientelare e il disagio giovanile. E’ di questi giorni la campagna di comunicazione di uno degli attori politici, che a mio avviso trasmette un messaggio quantomeno ambiguo se contestualizzato nella nostra realtà di cui oggi ancora emergono le piaghe delle infiltrazioni mafiose e clientelari nel tessuto sociale e politico. Un messaggio che sfrutta il mood e alcune parole del brano “sono un bravo ragazzo, un po’ fuori di testa” di un popolare artista della scena trap e che ricalca gli stessi concetti esternati nel video trap dei ragazzi dei palazzoni: “io penso come faccio” dicono i ragazzi e parallelamente “se lo penso lo dico, se lo dico lo faccio” dice il coordinatore comunale di Fratelli d’Italia. Un ammiccamento preoccupante e veramente poco opportuno nel solco di una contiguità culturale, alla ricerca dell’avvicinamento di un modo di pensare la politica a quello della gioventù che a mio avviso oltre a non segnare la distanza con i recenti e ancora caldi eventi delle cronache e delle indagini della magistratura va nella direzione opposta a quanto la nostra comunità civica e politica deve sapere esprimere. Una ricerca di facile consenso che sostituisce il più duro, coraggioso e costante lavoro di costruzione del consenso intorno a valori e azioni positivi a beneficio di tutta la comunità.

Una ricetta di pseudo-liberismo e pseudo-liberalismo farcita di “lascia fare” e di quello che fai a casa tua (da leggersi nel tuo territorio) “non mi riguarda” e caramellata con un “una mano lava l’altra” di cui tutti noi latinensi oggi percepiamo l’onta della torta presa in faccia ma di cui ancora qualcuno se ne lecca i baffi. Una offerta distopica di aiuto e di efficienza, alla ricerca di credibilità presso chi afferma “pensiamo agli affari, tu fatti altri piani” e “…non credo a nessuno”. Atteggiamento non lontano dalle parole del consigliere Calvi di Forza Italia che offre la sua ricetta in termini di incremento della sicurezza con una battaglia che ci dovrebbe vedere uniti nella richiesta di potenziamento della nostra Questura ma che derubrica la responsabilità della comunità cittadina che sarebbe secondo il consigliere già al 90% composta da “brave famiglie”: un po’ come a ribadire che certi fenomeni criminali non ci riguardano, ognuno si curi bene il proprio orticello, per il resto ci sono gli strumenti che fanno credito (direbbe una nota pubblicità). Il credito però non si eroga solo sulle buone intenzioni e dovrebbe sempre basarsi, onde evitare le catastrofiche bolle che abbiamo conosciuto, su una credibilità consolidata e il nostro territorio denuncia oggi una fragilità che ci chiama tutti singolarmente e comunitariamente, insieme all’azione di prevenzione delle forze dell’ordine, a prenderci le nostre responsabilità e a superarla.

Non va oltre la Lega che con il suo capogruppo non manca mai di portare l’osservazione e l’analisi sociale, culturale e politica al livello di quelle di strada, a quelle dell’”uomo qualunque”, scambiando e travisando l’onestà intellettuale del “bravo ragazzo” con le responsabilità e capacità di governo del “bravo” consigliere, ammesso che si possa parlare di bravura per chi ricopre un ruolo di rappresentanza politica se non riducendo l’osservazione e il giudizio all’aspetto estetico della performance espositiva, sulla quale bisogna riconoscere al consigliere indiscusse doti sceniche e mediatiche. Al classico esordio ipocrita sulla sua presunta onestà intellettuale fa seguito la sua analisi “costruttiva” e “non polemica” di contrapposizione di quanto egregiamente fatto dalla Lega rispetto a quanto non fatto dall’amministrazione LBC: dai decreti sicurezza del leader Salvini che hanno aumentato di 2 unità la forza dell’ordine in tutto il territorio provinciale e abbandonato centinaia di migranti alla vita di strada e alle braccia della criminalità organizzata; alla sua risolutiva proposta di maggiori fondi per il contrasto al bullismo, senza conoscere e riconoscere neanche quali azioni fossero già in campo ed eventualmente quali azioni correttive e migliorative dover attuare; alla sua immancabile propaganda del degrado del quartiere di Villaggio Trieste a cui tutti oggi dovremmo essere riconoscenti per le azioni e gli interventi che però non mi risulta averlo visto mai protagonista se non delle scene mediatiche. Insomma un elenco di mezze verità, una narrazione di un destino ineluttabile e divergente tra il paradiso leghista e l’inferno colettiano che oltre a risultare difficilmente credibile anche per l’uomo qualunque brucia ogni possibilità di incontro su possibili azioni migliorative e soprattutto squalifica l’impegno politico offrendo come unico risultato l’ulteriore allontanamento della politica (interpretata come rappresentazione invece che come processo rappresentativo) dalla vita reale.

Non si esime da questa rappresentazione neanche il consigliere Coluzzi che in veste di “bravo ragazzo” della generazione giovani per Latina rivolge all’attuale amministrazione di cui anch’egli fa parte critiche che potrebbero essere applicate a se stesso. Quali sono le sue proposte? Quelle che da consigliere consapevole, responsabile, serio e pertanto credibile, così come propone a tutti di essere, fa fatica però a far emergere. Offrendo invece una rappresentazione parziale della città dimentica delle dinamiche clientelari che hanno condizionato l’operato degli uffici che in questi anni si sono dovuti riscattare da una situazione di sovraesposizione mediatica e giuridica e che hanno dovuto attivare e allinearsi a nuove procedure di trasparenza e tracciabilità, o della situazione ancora oggi limitante di documentazione mancante o dispersa (vedi teatri, scuole e biblioteca). Dice il beniamino della gioventù “la legalità dovrebbe essere un requisito minimo, non un risultato”, evidentemente distrattosi durante le esposizioni dei giovani relatori che in Consiglio hanno lanciato il grido di allarme e di aiuto a sostenerli nella loro azione di sensibilizzazione e formazione di una cittadinanza ancora troppo poco coinvolta e consapevole. Cittadinanza che dal 2015 (anno della manifestazione di piazza la cui mobilitazione si è fatta grazie a un gruppetto di persone che si contano sulle dita della mano) ad oggi si è andata ancor più “normalizzando” in una tacita e spesso colpevole rassegnazione agli abusi dell’’illegalità. La legalità dovrebbe essere un requisito minimo, vero, ma non banale, su cui costantemente investire a partire dall’attivazione civica e culturale. Forum dei giovani e Consiglio dei Bambini, indagini e conseguenti programmi di azione sulla situazione giovanile, progettualità specifiche come FARO, attivazione di esperienze amministrative per il servizio civile, convenzioni e collaborazioni con le le scuole con l’università, ristrutturazione della biblioteca e patti di collaborazione, tra cui Psycovid rivolto all’ascolto di quelle fragilità indicate dallo stesso consapevole consigliere, il coinvolgimento e il percorso attivato con LazioInnova, con le StartUp e con l’imprenditoria giovanile attraverso il bando LatinadaAmare, con Upper e con la candidatura a Latina città dei giovani sono evidentemente ancora piccoli e insufficienti passi per risollevarci dal letargo in cui eravamo caduti. Certo non aiuta la facile e banale retorica di chi li definisce temi di facciata e non propone strade di valorizzazione e potenziamento se non riducendo la questione all’antica soluzione dell’elargizione dei soldi, in perfetto stile vecchia politica, perdendo di vista fattori come la costituzione e il consolidamento di reti civiche, del capitale sociale e dell’economia civile che in modo più evoluto e duraturo possono rispondere alla sfida che le nuove generazioni e i cambiamenti sociali ci pongono. Risposte che necessitano di visione a lungo termine e di perseveranza che evidentemente manca a chi propone l’approccio degli “sporchi, maledetti e subito”.

Ci dicono gli ospiti del consiglio comunale e il capo della squadra mobile della polizia nel giorno della memoria delle vittime di mafia che “per battere i clan serve l’impegno di tutti” e ancora “le inchieste non bastano, è una subcultura che va scardinata”: la sfida che dobbiamo affrontare è infatti profondamente culturale. Suonano esplicite le parole “i gruppi criminali di Latina si cibano, come dimostrano le indagini, di omertà, sudditanza psicologica e soggezione, rifiuto di collaborare con le istituzioni” e per chi non l’avesse ancora capito ”In città di questi clan si sono serviti politici e imprenditori, i loro metodi sono assurti a quotidianità: commercianti, professionisti e semplici cittadini hanno subito senza denunciare le angherie e i soprusi”. Un requisito “minimo” quello della legalità che in un contesto del genere si fa davvero fatica a darlo per scontato. Accanto allo spezzare le catene della subcultura clientelare abbiamo bisogno di una cultura dell’affermazione della legalità per le opportunità che essa (e cioè lo Stato, gli enti territoriali e le comunità tutte) deve sapere offrire, per le occasioni di riscatto e di affermazione di ogni singola persona nella costruzione del bene comune. Di un circolo virtuoso dove il singolo si senta parte del tutto e il tutto restituisca il giusto merito all’impegno del singolo. E per fare il salto di qualità serve ancora consolidare due fattori: la realizzazione delle comunità educanti e l’azione sinergica di quanto già messo in campo. Nel favorire le mafie ci vuole troppo poco, basta guardare altrove, non necessariamente dalla parte opposta. A chi banalizza e a chi ci tratta come allodole, dobbiamo saper rispondere con uno sguardo attento e un impegno convinto e costante alla cura delle reti sociali, della nostra comunità e dei nostri territori per poter affermare che ogni spazio della nostra città è territorio nostro.

Emanuele Di Russo, consigliere LBC