Partiamo dai numeri.
43 suicidi nel 2023 nelle carceri italiane su una popolazione di 57.521 detenuti (10.000 detenuti in più di ciò che le nostre carceri potrebbero accogliere). 29 istituti circondariali su 190 con sezioni dedicate alla salute mentale (ATSM: articolazione per la tutela della salute mentale)Con la chiusura degli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) avvenuta definitivamente nel 2014, le persone con disagio psichico – già condannate (i rei-folli come il gergo carcerario li definisce) – possono trovare assistenza all’interno del carcere o nelle REMS (residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza).
Le norme nazionali e sovranazionali stabiliscono che i cittadini hanno diritto alla tutela della salute e all’effettivo accesso alle cure e i detenuti hanno lo stesso inviolabile diritto.
Ma parlare di tutela della salute mentale in carcere è un ossimoro perché il carcere è psicopatogeno o può peggiorare uno stato di malessere precedente. A dirlo sono altri numeri relativi al primo semestre 2023, quelli che riguardano gli atti di autolesionismo (7257), i tentativi di suicidio (116), l’uso massivo di stabilizzanti dell’umore e sonniferi. E poi c’è il “dopo”. All’uscita dal carcere i detenuti con disagio psichico dovrebbero continuare un percorso terapeutico, essere presi in carico dalle istituzioni, dai servizi sociali, dalle ASL.
Ma come si fa con chi non ha fissa dimora, famiglia, riferimenti? Quale luogo può essere sicuro quando non si riesce a contemperare il bisogno individuale, storia clinica, passato, presente e futuro?
Bisogna necessariamente potenziare il lavoro sulla prevenzione primaria dei giovani in modo tale da cogliere dei “campanelli d’allarme” sui quali si può subito iniziare un lavorare evitando lo sviluppo di patologie o comportamenti devianti.